
Di Francesca Bocchi
In televisione, per strada, sugli smartphone, nelle caselle di posta elettronica: la pubblicità è onnipresente nella nostra vita quotidiana. È uno specchio degli sviluppi sociali e delle innovazioni tecnologiche, ma anche del nostro modo di vivere i consumi.
Dai messaggi incisi su antiche stele alle campagne iper-personalizzate basate sull’AI marketing, la pubblicità ha sempre avuto il compito di catturare, informare e sedurre. Attraverso di essa possiamo osservare come i brand si siano adattati alle trasformazioni culturali, economiche e tecnologiche, continuando a reinventarsi.
La pubblicità nasce come arte visiva capace di unire immagine e parola. Già nel Rinascimento, con la letteratura degli emblemata, l’associazione tra simbolo e motto apriva la strada a un nuovo modo di comunicare.
Oggi, la pubblicità riesce a trasformare oggetti quotidiani — dal sapone alle automobili — in simboli culturali. Nel XX e XXI secolo, l’esplosione dei consumi ha portato a comportamenti compulsivi e alla nascita di una cultura del consumo globale.
Condividere gli stessi gesti e abitudini è diventato un elemento identitario: una bottiglia di Coca-Cola racconta lo spirito di un’epoca tanto quanto un libro di storia. Andy Warhol lo comprese negli anni ’60 con i suoi celebri lavori di pop art oggi custoditi al MoMA di New York.
La pubblicità non rappresenta più solo una distinzione di classe sociale, ma diventa strumento di auto-espressione individuale: una maglietta o una gonna raccontano chi siamo, molto più di mille parole.
Uno dei momenti storici della comunicazione fu lo spot Apple del 1984, diretto da Ridley Scott. Ispirato al romanzo di Orwell, raccontava il lancio del Macintosh come un atto di liberazione dal conformismo.
Oggi, il nostro rapporto con i consumi è cambiato: chiediamo agli oggetti meno status e più valore reale, con un occhio all’etica e alla sostenibilità (McKinsey – Future of Advertising).
Con il digitale e i social network, la società si è frammentata in una costellazione di micro-comunità: un processo di “arcipelizzazione”. Qui i messaggi pubblicitari rischiano di perdersi nella memoria breve dell’infosfera.
Per questo, il futuro della pubblicità si gioca sull’equilibrio tra:
Come scriveva già negli anni ’60 Marshall McLuhan: “la pubblicità non fa appello alla ragione, ma all’emozione”.
La pubblicità non è mai stata solo uno strumento di vendita: è uno specchio del nostro tempo, capace di raccontare evoluzioni sociali, cambiamenti culturali e desideri individuali. Dalle stele antiche fino all’AI, resta il linguaggio universale che connette brand e persone.
E tu, che tipo di pubblicità ti colpisce di più: quella creativa ed emozionale o quella basata sui dati e sull’intelligenza artificiale?






